
Sono uno dei superstiti della “compagnia dei celestini”, che Stefano Benni ha magistralmente presentato nel suo romanzo nel 1992, uno degli ultimi fortunati giocatori della “pallastrada”, uno di quelli che con gli amici gettava i giubbotti a terra e si scatenava in interminabili partite di calcio, in improvvisati rettangoli di gioco delimitati dalle radici degli alberi o dalle recinzioni degli edifici confinanti o dalla pozzanghera creatasi con l’acquazzone del giorno prima, con le traverse immaginarie delle porte che diventavano più o meno alte ad ogni tiro secondo l’altezza del malcapitato portiere; le nostre partite erano senza spettatori e le vittorie diventavano mitiche perché ti davano la possibilità di sfottere per mesi interi i ragazzi del palazzo di fronte o dell’isolato o quartiere confinante o piuttosto quelli della classe accanto la nostra. Questa immagine dice poco ai nostri giovani, ma sono nitide nei ricordi dei miei coetanei, noi che forse rappresentiamo l’ultima generazione che ha avuto la “fortuna” di poter giocare scegliendosi le regole, senza l’assillo di dover dimostrare nulla a nessuno, noi che potevamo essere anche scarsi, ma basta che portavamo il pallone e diventavamo i capitani delle nostre squadre, noi che ancora non conoscevamo i mister, noi che potevamo scegliersi il ruolo in squadra, noi che se perdevamo, non facevamo mai finire la partita……… Per molti anni, questi spazi occasionali o per i più fortunati gli oratori, sono stati i luoghi dove poter praticare delle attività sportive. Alla fine degli anni ’60 sono iniziati a nascere i centri di addestramento, per gli sport di squadra o individuali, fondamentali vista la sempre più carente disponibilità e sicurezza di luoghi liberi dove dar sfogo alla propria creatività e voglia di gioco. Le scuole calcio, di basket, nuoto ecc… negli anni sono diventate per numero di praticanti, la 2° agenzia educativa dopo la scuola e insieme alla chiesa; per questo gli operatori del settore, sono chiamati a un grande senso di responsabilità, visto che da loro dipende in gran parte la formazione dei nostri piccoli, futuri uomini. I bambini vivono dei loro sogni, e i grandi, che hanno la fortuna di lavorare con loro, devono fare molta attenzione affinche i loro preconcetti da adulto non trasformino questi sogni in incubi, con richieste o aspettative troppo pretenziose. I bambini hanno tutto il diritto di fare sport e di non essere dei campioni, ma di esprimersi secondo le proprie potenzialità, proprio come facevamo noi nei prati, nei cortili, dove al massimo rischiavamo il giudizio di un nostro amico, che essendo un nostro compagno di gioco, se lo poteva permettere. Lo sport, spesso, per i nostri bambini diventa la prima vera esperienza di vita, l’occasione dove inserirsi in una micro società con le proprie regole da rispettare (future leggi) dove districarsi nelle dinamiche di gruppo, dove, in poche parole, “crescere giocando”. In queste pagine, faremo un viaggio nelle scuole sportive del nostro Municipio, analizzando con gli operatori del settore questi aspetti e come vengono trattati da ognuno di loro.
Gianluca Ripani